Ti ho ascoltato
nel silenzio di emozioni sporche
che hanno attraversato la mia vita.
In un istante.
Poi ho chiuso il cassetto
e sei sparita di nuovo;
nel silenzio.
Lasciandomi in bocca
un sapore di birra.
Ti ho ascoltato
nel silenzio di emozioni sporche
che hanno attraversato la mia vita.
In un istante.
Poi ho chiuso il cassetto
e sei sparita di nuovo;
nel silenzio.
Lasciandomi in bocca
un sapore di birra.
LE VARIABILI
Se dovessi esplicitare la formula della vita partirei dalla definizione delle variabili fondamentali della sua equazione: la volontà, il caso, l’onestà e la fede. È la combinazione di questi elementi, due controllati (da noi) e due indipendenti, che ci porta a diventare ciò che siamo realmente.
La volontà, variabile dipendente ci permette di determinare una direzione, di lottare per mantenerla, e di forzare l’orientamento delle altre variabili indipendenti verso ciò che noi vorremmo che fosse.
Il caso è incontrollato, indipendente, è l’incognita, la carta imprevisti o “La Morte” come lo definiscono i tarocchi gitani, intesa appunto come evento inaspettato di cambiamento improvviso che ha il potere di scombinare continuamente, in positivo o in negativo, l’evolversi delle nostre vite.
L’onestà è la base della verità, la capacità di essere autentici con se stessi e con gli altri, di non prendersi in giro, di essere obiettivi. L’onestà è un’arte che, certamente ha un radicamento profondo in noi ma va curata, allenata, cercata, con la forza appunto, della volontà.
La fede è amore. Amore che non possiamo controllare che ci viene dal cielo o dalle persone che abbiamo accanto e che è “il sale della vita”. La fede è carità, compassione, speranza, elementi intangibili che non possiamo stringere nel pugno della nostra mano, non possiamo imporci di avere ma possiamo cercare, bramare, accogliere. Quando l’onestà è sincera e radicata in noi, è la fede che concretizza gli sforzi della volontà, spingendo il caso verso i nostri obiettivi.
Quella, per esempio, che viene chiamata Provvidenza è un misto di questi tre elementi che, combinati ed equilibrati tra loro portano ad un miracolo inaspettato ma certamente orientato dalla combinazione degli elementi fondamentali.
L’INDETERMINAZIONE DELLA FEDE
Ma prendiamo per esempio un malvivente, o semplicemente un Paolo, che sulla via di Damasco viene folgorato dalla Fede. Qual’era in quel caso la combinazione di questi elementi? C’era certamente volontà e ambizione, forse non orientati nella direzione di quel caso che ha fatto irrompere la fede nella sua vita. E allora cosa può essere accaduto? L’amore è un elemento così potente che a fronte di accadimenti comprensibili o incomprensibili in un determinato tempo della storia e in un determinato luogo, può manifestarsi con una forza tale da sbilanciare tutte le altre variabili facendo tendere il risultato dell’equazione dalla sua parte. Chi o cosa generi questi overload di fede non è dato saperlo a noi umani, piccoli bicchieri che non possono contenere l’immensità del mare, ed è questo in particolare che rende la fede una variabile indipendente.
IL BENE E IL MALE
Le variabili indipendenti, Fede e Caso, tendono comunque all’equilibrio per la loro stessa natura psicofisica che le ha inserite in una dimensione universale orientata comunque alla stasi. La stessa legge del moto di Isaac Newton afferma sostanzialmente che “un corpo in quiete se non soggetto a forze, resta in quiete” (Prima legge della dinamica). Qualsiasi entità, cosa, o essere vivente, se lasciata a se stessa senza l’apporto di variabili controllate, tende quindi necessariamente a un equilibrio, che sia questo un mare calmo o la morte: la pace. Il bene quindi vincerà sempre perché il bene è equilibrio e la tendenza dell’universo è necessariamente l’equilibrio qualsiasi esso sia.
Le meditazioni trascendentali usano spesso come mezzo per entrare in contatto con l’assoluto, che sia esso Dio o sia l’universo, l’eliminazione delle interazioni con le variabili controllate. “spegnere” la volontà e restare in ascolto significa lasciarsi tendere all’equilibrio più naturale per il quale siamo nati; significa unirsi con la nostra natura più profonda.
Persone negative come Adolf Hitler, hanno alimentato in maniera smisurata attraverso una volontà perversa e un’onestà malata, una Non Fede, ponendola al negativo rispetto alla sua natura linearmente positiva e contaminando in questo modo le altre variabili fondamentali. Questo ha provocato un campo di concentrazione di non senso attorno a lui e alla sua vita, che è stato interrotto solo grazie all’unione congiunta di intenti nella direzione opposta.
Persone positive come Gesù Cristo, che si accetti o meno il fatto che fosse figlio o emanazione diretta di Dio, creano delle anomalie positive nel percorso della storia dell’uomo, apportando agli eventi una quantità smisurata di variabile Amore equilibrata con una onestà ed una volontà tali da piegare gli eventi del caso alla loro aspirazione o, per chi è fedele, determinazione.
Lo scrittore americano descrive la nuova solitudine tecnologica
Così connessi, così distanti preferiamo l’iPad alle persone
JONATHAN SAFRAN FOER
UN PAIO di settimane fa, ho visto una sconosciuta piangere in pubblico. Mi trovavo nel quartiere Fort Greene di Brooklyn, in attesa di un amico col quale andare a colazione. Sono arrivato al ristorante con alcuni minuti di anticipo e mi sono seduto fuori, su una panchina, a controllarei nomi dei miei contatti.
Una ragazza, forse quindicenne, era seduta sulla panchina di fronte, e piangeva al telefono. L’ho sentita dire: «Lo so, lo so, lo so». E andare avanti così.
Che cosa sapeva? Aveva commesso qualcosa di sbagliato? La stavano consolando? Poi ha detto: «Mamma, lo so». E le lacrime si sono fatte ancora più copiose.
Che cosa le stava dicendo sua madre? Di non restare in giro più tutta la notte? Che tutti possono sbagliare? È possibile che non ci fosse nessuno dall’altra parte e che la ragazza si stesse limitando a inscenare una conversazione complicata?
«Mamma, lo so» ha detto e ha chiuso il telefono, mettendoselo in grembo.
Mi sono trovato davanti a una scelta: potevo intromettermi nella sua vita, oppure rispettare i confini tra di noi. Intervenire avrebbe potuto farla sentire peggio, o risultarle inappropriato. Ma avrebbe anche potuto alleviare il suo dolore, o risultare di aiuto, in modo schietto e ragionevole. Di primo mattino un quartiere benestante non è come un quartiere pericoloso al calare del buio. E poi si trattava di me, non di qualcun altro. Occorreva fare molte valutazioni umane.
È più difficile intervenire che non intervenire, ma è infinitamente più difficile scegliere di fare una di queste due cose che battere in ritirata a controllare l’elenco dei propri contatti su qualsiasi iDistraction preferito ci troviamo a portata di mano. La tecnologia celebra la possibilità di entrare in contatto, ma incoraggia a battere in ritirata. Il telefono non mi ha evitato il rapporto umano, ma ha reso più facile il fatto di poter ignorare la ragazza in quel momento e, molto probabilmente, mi ha incoraggiato a lasciar perdere la mia scelta di entrare in contatto con lei. L’uso quotidiano che faccio delle comunicazioni grazie alla tecnologia mi sta cambiando, sta facendo di me una persona che ha maggiori probabilità di dimenticare il prossimo. Il flusso dell’acqua scava la roccia, un poco alla volta. E anche la nostra personalità è scavata dal flusso delle nostre abitudini.
Gli psicologi che studiano l’empatia e la compassione ritengono che a differenza delle nostre reazioni pressoché istantanee al dolore fisico, occorre tempo prima che il nostro cervello possa cogliere appieno le dimensioni psicologiche e morali di una data situazione. Più distratti diventiamo, e più importanza diamo alla velocità a discapito della profondità, meno capaci diventiamo di prendere qualcosa o qualcuno a cuore, e meno probabilità abbiamo di farlo.
Tutti bramiamo l’attenzione illimitata dei genitori, di un amico, del partner, anche se molti di noi, soprattutto i bambini, si stanno abituando a riceverne molta meno. Simone Weil scrisse: “L’attenzione è la forma più rara e più pura di generosità”. Secondo questa definizione, le nostre modalità di relazione con il mondo, gli uni nei confronti degli altri, e verso noi stessi stanno diventando sempre più limitate.
Gran parte delle nostre tecnologie della comunicazione sono iniziate come sostituti inferiori di un’attività impossibile. Non potevamo incontrarci sempre a quattr’occhi, così il telefono ha reso possibile mantenerci in contatto anche a distanza. Non si sta sempre in casa, così la segreteria telefonica ha reso possibile un tipo di interazione anche senza che l’interlocutore debba stare accanto al suo telefono. La comunicazione online è nata come sostituto della comunicazione telefonica, che per chissà quale motivo era considerata troppo gravosa o sconveniente. Ed ecco i messaggi di testo, che hanno facilitato e reso ancora più rapida e più mobile la possibilità di inviare messaggi. Queste invenzioni non sono state create per essere sostituti migliori rispetto alla comunicazione faccia a faccia, bensì come evoluzioni di sostituti accettabili, per quanto inferiori.
Poi, però, è successa una cosa buffa: abbiamo iniziato a preferire i sostituti inferiori. È più facile fare una telefonata che darsi la pena di incontrare qualcuno di persona. Lasciare un messaggio alla segreteria telefonica di qualcuno è più comodo che conversare al telefono: si può dire ciò che si deve dire senza attendersi risposta. Le notizie difficili si comunicano così più facilmente. È più agevole farsi vivi senza la possibilità di lasciarsi coinvolgere. Di conseguenza abbiamo iniziato a telefonare quando sapevamo che nessuno dall’altra parte avrebbe alzato la cornetta.
Spedire email a raffica è più facile ancora, perché si ci può nascondere dietro l’assenza di un’inflessione vocale e naturalmente non c’è il rischio di imbattersi in qualcuno per caso. Gli sms sono ancora più facili, in quanto le aspettative dell’articolazione delle parole sono ancora minori, e c’è a disposizione una corazza in più dietro la quale nascondersi. Ogni passo “avanti” è stato reso più facile, appena un po’, giusto per eludere il peso emotivo di essere presente, di trasmettere informazioni invece che umanità.
Il problema dell’accettare – del preferire – i sostituti inferiori è che col passare del tempo anche noi diventiamo sostituti inferiori. Le persone abituate a dire poco si sono abituate ad avere poche sensazioni.
Di generazione in generazione diventa difficile immaginare un futuro che assomigli al presente. I miei nonni speravano che io avessi una vita migliore della loro: senza guerra e senza fame, in un posto confortevole che potessi chiamare casa. Ma quali futuri mi sentirei di escludere del tutto dalla vita dei miei nipoti? Che i loro vestiti siano prodotti ogni mattina con stampanti 3-D? Che riescano a comunicare senza parlare omuoversi?
Soltanto chi è privo di immaginazione e non tiene i piedi per terra smentirebbe la possibilità che vivranno per sempre. È possibile che molti di coloro che stanno leggendo queste parole non moriranno mai. Supponiamo, però, di avere tutti quanti un dato numero di giorni per condizionare il mondo con i nostri pensieri e i nostri principi, per trovare e creare la bellezza che soltanto un’esistenza compiuta consente di raggiungere, per lottare con il tema dello scopo della vita e lottare con le nostre risposte.
Spesso utilizziamo la tecnologia per risparmiare tempo, ma sempre più ciò assorbe il tempo che abbiamo risparmiato, oppure rende quel tempo risparmiato meno presente, intimo e ricco. Temo che quanto più avremo il mondo a portata di dita, tanto più lontano esso sarà dai nostri cuori. Ciò non significa essere pro o contro – essere “contro la tecnologia” quasi certamente è l’unica cosa più stupida dell’essere perdutamente “filo-tecnologici” –, ma è una questione di equilibrio dalla quale dipendono le nostre vite.
Il più delle volte, la maggior parte delle persone non piange in pubblico, ma tutti hanno sempre bisogno diqualcosa che un’altra persona può dare loro, che si tratti di attenzione incondizionata, di una parola cortese o di una profonda empatia. Non c’è niente di meglio da fare nella vita che prestare attenzione a queste esigenze. Ci sono tanti modi di farlo quanti modi di sentirsi soli, ma tutti richiedono attenzione, tutti richiedono il duro impegno di una valutazione emotiva e di una compassione fisica. Tutti richiedono un’elaborazione analitica umana dell’unico animale che rischia di “prenderla in modo sbagliato”, i cui sogni offrono protezione e antidoti e parole agli sconosciuti che piangono.
Viviamo in un mondo fatto più di storia che di sostanza. Siamo creature della memoria più che ricordi, creature dell’amore più che uguali. Prestare attenzione alle esigenze del prossimo può non essere lo scopo ultimo della vita, ma è compito della vita. Può essere confuso, doloroso e difficile in modo quasi impossibile. Ma non è qualcosa che noi offriamo. È ciò che noi abbiamo in cambio del fatto di dover morire.
Traduzione di Anna Bissanti © 2013 The New York Times