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Per quanto l’ora

Quando non camminerò più su questo mondo, resteranno le parole, librate nell’eco delle emozioni e impresse nelle opere. Resterà la traccia della deviazione, che il mio esistere avrà generato nel tempo e nelle persone.
Poi null’altro.

La bolla di sapone che oggi racchiude ogni mia vibrazione, che contiene il mondo creato giorno dopo giorno, ad ogni incontro, in ogni parola, che delimita un pensiero e un’esistenza, scoppierà, sciogliendo i limiti e i legami che ci hanno ancorato a questo tempo. Se l’oltre esiste, non ci é concesso capirlo; se di  tutto quel divenire si possa salvare traccia, non ci è dato di comprenderlo.

E per quanto gli studi, i pensieri, le chiese, ci indichino vie, la nostra scatola nera continua a restare chiusa, serrata, per poi disfarsi col tempo.

Non esiste che l’ora, quindi. Il momento più puro e reale di manifestazione di noi. Qui, nell’eco delle parole scritte, nel riflesso di uno sguardo, perso e incerto.

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La mamma del mio amico

Un’altro corpo chiuso in una scatola di legno. Un altro strappo. E tutti attorno a guardarne i resti. A domandarsi cosa accadrà da domani, quando la sua voce non risuonerà più tra le mura della casa. Emozioni, parole, odori, pensieri, sorrisi, dolori, carezze, progetti, sogni e concezioni della vita. Un passaggio che congela tutto, che lascia odore di salsedine dove l’onda è ormai passata e non tornerà più. Non qui almeno, non in questa parte di mondo e di realtà, salvo Messia, particolarmente improbabili di questi tempi.

Noi restiamo a guardare, noi restiamo a fare il pezzo che resta, ancora per un po’, poco o molto che sia. Lo faremo da soli, senza di lei, comunque. Per me da domani cambierà poco, per lui sarà un po’ diverso. Per quanto adulti e preparati possiamo essere è difficile comprendere quando pezzi della vita si staccano da noi, quando la storia si spezza generando due strade di cui una abbiamo consapevolezza e dell’altra solo speranza.

Noi restiamo a guardare, le cose che continuiamo a costruire e ad inventare per allontanare da noi quel momento, quella imperscrutabile incertezza. La violenza che ci assale in quegli istanti viene spudoratamente sopraffatta dalla sopravvivenza e dall’abitudinarietà di un mondo che comunque deve andare avanti.

Un evento plausibile contro miliardi di azioni improbabili che in ogni istante accadono nello spazio vitale dove siamo calati.
Resta la prospettiva delle stelle, che indipendentamente da noi continuano a bruciare ed a donare luce, non sappiamo neanche a chi.

Un’altro corpo che con i suoi tempi si dirigerà verso una meritata decomposizione ritornando al nulla a cui apparteneva, mentre le gioie che conteneva voleranno, vogliamo credere, proprio verso la comprensione del motivo del brillore di quella stella.

Potrebbe non essere, ma diversamente diverrebbe tutto inutile.

Washai


My Friend

Ecco, semplice.
Bump bump bump….. Bump…. Bu….
Switch off.
Fine.

Fermo il cuore, fermo il sangue, fermo il respiro. Spenta la mente, e nulla più.
Ecco la morte.

Ci costruiamo attorno castelli, vite, speranze, amori;
progettiamo famiglie belle, numerose e felici, tentiamo di
riallacciare i fili di chi le ha perse quelle famiglie, di far
ricongiungere mariti e mogli, padri e figli; accatastiamo denari in
banca nell’illusione di una sicurezza che ci andiamo a costruire su
dei pilastri di budino, costruiamo armadi e sedie di legno intagliato,
facciamo corsi per migliorarci, ci affatichiamo e ci accaloriamo per
difendere i diritti ed i nostri valori politici; ci comportiamo, oggi
in un modo domani nell’altro, per sostenere un amico o per rendere
grazie ad un fratello; ci incensiamo, ci pentiamo mille volte, ci
prostriamo di fronte all’altare, e poi ricadiamo di nuovo nello stesso
errore; ci nascondiamo dentro eremi improbabili alla ricerca di un
senso ma principalmente di un motivo per stare insieme; facciamo
viaggi, parliamo della vita scrutando da lontano quello che “un
giorno” sarà la sua conclusione, la morte.

Soffriamo, come le madri di ragazzi distrofici che giorno dopo giorno
allenano i loro muscoli, pettorali, fisici e mentali per dare supporto
a figli già condannati; li inseguiamo quei figli, li sosteniamo e poi
li abbandoniamo alla loro lotta eterna ed al loro dolore costante.

Ci arrampichiamo sui monti dell’est, contro le bombe, i cannoni e gli
spari, sempre per quel senso quella prospettiva; soffriamo e piangiamo
le grida di bambini orfani e straziati, e ci abbracciamo insieme nel
dolore per dare anche a questo un senso.

Facciamo incontri e creiamo gruppi con il nome illuminante; ci
sposiamo e facciamo dei figli, e cerchiamo dei figli e li troviamo
anche, palpitando assieme della gioia che sarà lo stare insieme
ancora, semplicemente, del giocare con la sabbia del nuotare nel mare
o tra le montagne.

Ridiamo e sorridiamo, in quella complicità unica che è data da un
legame distinto e d’istinto, semplice e dignitosamente vero.

Giochiamo inseguendoci tra cavalli, Re e Regine e pedoni distratti e
ci illudiamo che quel gioco possa essere per sempre, che quel semplice
equilibrio possa non essere spezzato, mai.
Perché, che facciamo di male? Giochiamo solo a scacchi.

Guardiamo film, ci scambiamo film, originali o piratati, che non si
può fare ma se lo fai insieme va bene anche quello, perché del film
non te ne fotte una mazza in realtà. Pensiamo, l’uno all’altro quando
facciamo le cose, perché nulla ha valore senza la condivisione, perché
non ha senso ha comprarsi la macchina nuova se non ci puoi viaggiare
insieme, se non puoi dirglielo e se non puoi sentirti dire che lui
l’avrebbe comprata in Germania a 3000 euro di meno.

Mangiamo, uno dell’altro, e cuciniamo le nostre vite con ingredienti
semplici ma che si amalgamano e si legano stretti, stretti assieme,
come la morte.
La morte compagna e gemella della vita, da lei separata solo da un
soffio che divide il possibile dal vero…

Come può un universo così ricco spegnersi in un istante?

Un istante. E tutto crolla
e resta l’assenza di un bicchiere di vino,
vuoto.

Solo l’odore ti ricorda che c’era e a quell’odore dai la
responsabilità del senso di tutta la tua vita.

Ora, che non esistono più altre paure,
il timore più grande è che quell’odore scompaia,
ed il vuoto
diventi ancora
più inconsapevolmente
e drammaticamente
profondo.

A presto, amico mio.
9 Maggio 2010


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