Archivi del mese: agosto 2018

Macio

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Morire. Oggi parlo di un mio amico che non c’è più. Ho un’immagine nella mente: noi che in quinta elementare giochiamo nel cortile della scuola. Bambini di nove anni, alla finestra della vita. Siamo tanti. Ognuno prenderà la sua strada, cresceremo, studieremo, ci innamoreremo, litigheremo tra di noi. Poi magari ci sposeremo o forse no. Provo a cercare di capire se in quell’istante avremmo potuto intuire, stando un po’ più attenti, che lui se ne sarebbe andato prima di tutti. No. Eppure quel destino era già scritto. Non in tutte le possibili versioni del futuro, ma certamente in una di esse. Questa.
Penso al suo sorriso durante questi ultimi 40 anni, quando ci incrociavamo e, sebbene avessimo preso strade diverse, c’era quel legame, profondo ancestrale, che ci rendeva parte di un pezzo della nostra vita, di una nostra storia che nessun’altro avrebbe potuto capire. L’infanzia.
La tua morte, amico mio, è come se avesse strappato un pezzo di quel libro, così, quasi distrattamente.
Macio è morto, punto.
Mi immagino il tuo gesto esplicito, se te lo avessi raccontato:
“Ehi, lo sai che il 18 agosto 2018 morirai di tumore al cervello? Io lo saprò il giorno dopo da un whatsapp di un amico comune… ‘Mi pare lo conoscessi’ mi scriverà…”
“Mortaccitua – mi avresti detto – fammi grattare va…”
E’ questa la vita in fondo no? Si scherza, per non avere paura.
E quella volta che ti abbiamo tirato il riso dopo l’ennesima domenica che uscivi dalla chiesa mano nella mano con la tua eterna ragazza: “Evviva gli sposi!!!”
“Mortacci vostra… che bastardi…”. E ridevi.
Che poi non mi hai mai detto perché è finita…
Anche lei starà soffrendo questa sera. Anche lei probabilmente sta guardando le vostre foto, i bigliettini che le lasciavi, la carta così smielata dei baci perugina: “Il bacio è l’apostrofo rosa sulle parole Ti amo”, o cazzate del genere. Ma dai che ti piacevano! Cazzone come eri!
Certo, avevi quel problemino sul quale era difficile passare sopra… eri della Lazio! Ma a me in realtà delle squadre di calcio non è mai fregato niente e in fondo quel tuo astuccio con l’aquilotto era anche carino.
Mauro. Lo conosci? Si l’amico di Dando…
Certo che lo conosco. E così questa stronza di malattia ti ha strappato via. E io neanche lo sapevo. Certo non è che incrociandoci sotto casa potevi dirmi: “Ciao Alex, lo sai ho fatto il quarto ciclo di chemio e quella bastarda che sembrava sparita è tornata di nuovo… Ogni volta mi sembra di farcela ma poi ritorna… vabbè dai, prima o poi la sdereno. Che hai visto per caso in giro Checco?”
No. Non lo sapevo. Per questo la botta è stata più tosta. Si lo so, andremo tutti prima o poi, ma quando capita… è sempre una botta. Poteva essere un’altro? Tra quel gruppetto di bambini? O forse qualcuno già se ne è andato e neanche lo abbiamo saputo. Che dire.
Non sarò domani al tuo funerale, quindi ti saluto qui.
Mi spiace, molto, per tuo figlio, per la tua famiglia, per tua moglie che mi hai presentato per strada:
“Ciao Alex… vi conoscete? Lei è mia moglie…”
“ Ma dai? Pensavo fosse la tua amante e questo il figlio illegittimo…”
E tu ridevi.
“Piacere. Scusa, scherziamo sempre così dalla V elementare… bellissimo bambino, si vede che ha ripreso tutto dalla mamma!”
E così. Passava un altro giorno. Avrei potuto contare le volte che ci siamo incrociati sotto casa mentre tu rientravi con la macchina. Se avessi saputo il numero, se le avessi contate al contrario magari l’ultima volta ti avrei abbracciato.
“Non preoccuparti amico mio, funziona così, anche se è doloroso. Ma poi vedrai che troveremo un senso a tutto. Tu prima, ma noi subito dopo.”
Ecco. L’ultima volta, invece di fare una battuta, avrei potuto dirti una cosa del genere. O forse solo abbracciarti e dirti: “Ciao”.
E invece la pellicola di questo film va avanti come vuole. Non ci sono seconde chance, non ci sono avvisi, non si è mai pronti.
Vedo tuo padre, che continua a cercare nell’aiuto agli altri il senso delle cose. E da domani… o manderà tutti affanculo o si impegnerà ancora di più, cercando di scorgere nello sguardo del marocchino della stazione Termini il tuo sguardo, nel suo sorriso il tuo sorriso, nella sua richiesta di un panino il tuo chiedergli la merenda per andare a scuola un altro giorno. E allora per un istante il suo cuore sentirà di esserti ancora vicino, di poterti raggiungere in qualche modo con quel gesto. Sarà vero? O lo crederà solamente? Questo dipenderà solo da lui.
E’ un abominio che un figlio muoia prima di un padre, la natura non dovrebbe permettere questo. Eppure accade. Perché, nonostante tutte le giustificazioni che vogliamo darci, alla natura non gliene fotte una mazza del dolore, di cosa è giusto e cosa sbagliato. Se vuole prenderti ti prende. E basta.
Allora vorresti gridare: “Ma che cazzo!”. Ma non puoi farlo troppo forte, perché ti dicono che ci sono situazioni peggiori: 40 morti nel crollo del ponte di Genova, bambini migranti affogati in mare, ragazze indifese stuprate e uccise da uomini maiale che non meriterebbero neanche l’aria.
Si è vero. Ma che cazzo lo stesso.
Tu, eri un pezzo del mio libro, un pezzo della nostra storia, quella di tutti i giorni. Ed è giusto che siamo fatti così; impazziremmo se percepissimo il dolore di ogni cosa, di ogni uomo. Sopravviviamo perché abbiamo le nostre camere stagne, dove teniamo dentro ben sigillato tutto quello che ci è caro. Poi fuori ci sono le tempeste, i terremoti e gli orrori di cui ci indigniamo e contro i quali lottiamo; ma sono sempre fuori dalla nostra stanza.
Poi succede che qualcosa cade dentro, si crea una crepa, una breccia… poi muore un amico. E oggi quell’amico sei tu. E allora che Cazzo!
E allora… che occhiali ti metterai domani per andare davanti al Padre Eterno? Dai lo so che ti sarai preparato uno dei tuoi completini con camicia tiratissima, giacca e foulard assolutamente intonati e spilletta sul bavero della giacca. Eri proprio un fighetto; i tuoi quasi 50 non si vedevano neanche e la mia pancetta confronto ai tuoi addominali sembrava quella di un lottatore di Sumo. Per questo mi facevi ridere. Perché eri semplice e fico; ordinatissimo e firmatissimo, ma non te la tiravi mai. Così eri alle elementari, con quel ciuffetto ribelle, e così eri ieri.
Per quello la stronza ti ha preso il cervello, perché sul fisico non attaccava, dì la verità!?
Caro mio, non ci sarò domani per salutarti, in quella chiesa dove abbiamo occupato spazi assieme per anni. Magari scordandoci appena usciti di quello che aveva detto il parroco, ma sempre lì, puntuali, forse senza sapere neanche noi perché ci andavamo.
Ebbene, questa volta ci hai superati tutti. Domani lo saprai prima di noi.

Ti abbraccio e verrò a trovarti di tanto in tanto, nel luogo della memoria e dello spirito dove nascondiamo i nostri sentimenti più preziosi, i nostri segreti più belli, che alimentano quella speranza di esserci comunque, per sempre. Tutti.
Ciao Mauro.

 

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